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Battere il ferro quando è freddo

La nostra gioventù ama il lusso, è maleducata, se ne infischia dell’autorità e non ha nessun rispetto per gli anziani. I ragazzi d’oggi sono tiranni […] rispondono male ai loro genitori e sono tirannici nei confronti degli insegnanti

Questa frase avrebbe potuto essere pronunciata da un qualsiasi genitore esasperato o insegnante al giorno d’oggi, in realtà è una frase di Socrate del 470 a.C.
Esistono anche esempi precedenti di lamentele nei confronti delle nuove generazioni che arrivano fino alla civiltà babilonese di cui sono giunte fino a noi iscrizioni in cui si sottolineava la pigrizia dei giovani che “ non saranno mai come la gioventù di una volta” incapaci di mantenere viva la cultura. Tutto questo per dire che la questione del rapporto con le nuove generazioni non è una prerogativa della società odierna.
E’ uno dei compiti di sviluppo nell’adolescenza la necessità di individuarsi rispetto ai genitori e questa indipendenza prima di tutto emotiva non può che avvenire attraverso una discontinuità nei modi di vedere e stare al mondo che sorprende i genitori i quali stentano a riconoscere il ragazzo diverso che hanno accanto.
Oggi c’è di nuovo che alcuni cambiamenti sociali, come la diffusione di internet, se da un lato facilitano la risoluzione dei compiti evolutivi, dando per esempio la possibilità ai giovani di esercitare la nuova identità che stanno costruendo attraverso i social, dall’altro rende sempre più lontano dallo sguardo genitoriale questo processo di crescita e pertanto più sconosciuto e ansiogeno.
Senza contare che i genitori della famiglia affettiva di oggi non pretendono l’obbedienza dei figli, ma la loro felicità, auspicio che è sicuramente migliore, ma che porta con sé il rischio di confondere l’obiettivo della crescita con quello della “contentezza”.
La riduzione drastica di frustrazioni contribuisce a rendere i ragazzi particolarmente sensibili e fragili nei confronti delle delusioni e delle privazioni. Hanno l’opportunità di possedere tutto senza la capacità di desiderare, che come accennato anche in altre occasioni nel discorso sul paterno, si sviluppa invece a partire da un limite.
Contentezza anche dei genitori che significa ricerca della serenità familiare, che al di là della scarsa abitudine al conflitto che determina, intrappola a volte i figli nell’obbligo di non deludere mamma e papà. I ragazzi sentono che i genitori non sopportano l’idea che possano avercela con loro. Si verifica una inversione dei ruoli in cui gli adulti preoccupati guardano il ragazzo in attesa delle sue azioni: gli adolescenti diventano tiranni loro malgrado, prigionieri della tirannia e delle loro stesse paure.
Alla luce di queste premesse è comprensibile la possibilità di entrare in “escalation” con un figlio adolescente (per esempio, quando grida, ha delle crisi di rabbia o si impone fisicamente e minaccia perché non ottiene quello che vuole).
Due in questi casi sono le scelte dei genitori che capitolano o provano ad imporre con la forza la loro autorità. Purtroppo, questi due tipi di atteggiamenti nella maggior parte dei casi non fanno altro che continuare l’escalation dando adito a pretese sempre più importanti o ad un’intensificazione delle intemperanze.
Spesso i tentativi per spiegare, convincere, moralizzare ed argomentare hanno come risultato che il ragazzo esprima del disprezzo per quello che si dice, non risponda o ignori chi gli sta parlando.
Parlare troppo porta all’escalation ed al sentimento di impotenza.Un divieto chiaro e netto vale di più che delle spiegazioni e delle prediche o dei tentativi di convincere.
Come è possibile allora esercitare l’autorità genitoriale mantenendo i valori di autonomia e pluralismo e al contempo fornire ai ragazzi esperienze costruttive dei limiti?
Non sempre funzionano le punizioni soprattutto a quelle che puntano al senso di colpa: aggrava la tristezza dei figli e può spingerli ad alzare il tiro (così i genitori diventano più cattivi e il figlio si sente legittimato nell’essere disobbediente)
La vergogna è una leva pericolosa: alcuni adolescenti tollerano bassissimi livelli di vergogna che può portare a conseguenze imprevedibili.
Forse la tecnica “punitiva” più funzionale è quella della messa alla prova adottata dalla giustizia minorile (non a caso) in cui si da un nome alle cose (il reato), si propone un periodo di prova prima di somministrare la pena. Se la prova funziona, il ragazzo viene perdonato, altrimenti viene punito anche severamente.
Anche il controllo assoluto non è solo indesiderabile ma impossibile: se si prende consapevolezza di questo la ricerca di cooperazione diventa inevitabile. Questo atteggiamento verrà percepito dai ragazzi che potranno sentirsi autonomi anche quando collaborano con i genitori. Sicuramente in un contesto collaborativo ci sarà una diminuzione delle sfide.
L’obiettivo non è vincere, ma dimostrare una presenza competente. E’ una prospettiva questa che apre possibilità diverse: l’urgenza di fare qualcosa lascia il posto alla possibilità di prendere tempo per capire e confrontarsi, che a sua volta non significa prendere le distanze, ma anzi prendere sul serio le questioni, impegnarsi per volerle risolvere. Significa ascoltare l’altro rifiutando provocazioni, ricatti, prediche, grida e discussioni; significa trovare il momento opportuno per tornare sulle questioni in un approccio non violento. Prendere tempo aiuta anche a preservare momenti diversi nel corso della giornata in cui coltivare le relazioni e riconciliarsi. Uscire dall’isolamento e confrontarsi.
Abbandonare l’idea dell’educazione dei figli in un orizzonte di guerra in cui si vince o la “si da vinta” dà la possibilità di commettere degli errori (sia gli adulti che i ragazzi) e quindi anche di correggerli e di sopportarne le conseguenze.

Rimini, 7 luglio 2018

Wiliam Zavoli
Psicologo-psicoterapeuta – Servizio Liberamente Coop. Sociale Il Millepiedi

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