Cooperativa il Millepiedi – Area Infanzia – Senza categoria

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Open day Millepiedi, nidi e scuole dell’infanzia

Ecco le date e gli orari degli Open day delle scuole dell’Infanzia e dei nidi gestiti dalla Cooperativa Il Millepiedi:

Scuole dell’infanzia:

D. Giovanni Marconi, San Vito di Rimini
venerdì 15 dicembre 2017 – ore 18.00
giovedì 11 gennaio 2018 – ore 17.00

Sacra Famiglia, Santarcangelo di Romagna
martedì 12 dicembre 2017 – ore 16.30
martedì 16 gennaio 2018 – ore 16.30

Maria Immacolata, Corpolò di Rimini
giovedì 07 dicembre 2017 – ore 16.00
sabato 13 gennaio 2018 – ore 10.00

Luigi Massani – San Savino di Monte Colombo
venerdì 12 gennaio 2018 – ore 17.00
venerdì 19 gennaio 2018 – ore 17.00

Il Bucaneve, Bellaria – Igea Marina
sabato 13 gennaio 2018 – ore 10.00
martedì 16 gennaio 2018 – ore 16.30

San Giuseppe, Bellaria – Igea Marina
sabato 13 gennaio 2018 – ore 10.00
giovedì 18 gennaio 2018 – ore 16.00

Anche se piove, Rimini (scuola democratica)
giovedì 14 dicembre 2017 – ore 17.00
martedì 16 gennaio 2018 – ore 17.00

La Scuola Sul Mare, Rimini (scuola democratica)
mercoledì 17 gennaio 2018 – ore 18.00
mercoledì 24 gennaio 2018 – ore 18.00

Nido d’Infanzia
Il Tartarugo, San Savino di Monte Colombo
venerdì 12 gennaio 2018 – ore 17.00
venerdì 19 gennaio 2018 – ore 17.00

Scarica qui i moduli per l’iscrizione

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Procedere lentamente

“Manca il tempo”, “Non c’è tempo”, “Sono indietro”, “non facciamo in tempo” quante volte ci è capitato sentire queste frasi e quante volte ci è capitato di dirle magari guardando nostro figlio, passando da un luogo ad un altro, da un pensiero all’altro in modo frenetico come questa società ci ha insegnato.
Il tempo che manca è quasi una costante delle nostre vite, i bambini ancora prima di saper leggere l’orologio, sono assillati dal tempo che incombe, capiscono che devono correre, sbrigarsi, che sono rimasti indietro.
Ma rispetto a cosa siamo rimasti indietro? Rispetto ad una frenesia che spesso noi stessi ci imponiamo, perché ci hanno insegnato che fare molte cose significa essere maggiormente produttivi, anche se forse sarebbe stato meglio soffermarsi sul “come” svolgo certe azioni sul “quanto” tempo ci dedico per far si che vengano realmente assimilate dal mio corpo e dalla mia mente.
Il pensiero creativo nasce dove c’è spazio, possibilità di stare e sostare nel tempo, noi adulti abbiamo, spesso una visione affannosa rispetto alla relazione temporale delle cose, mentre i bambini è durante la “consumazione ” di quel tempo che crescono, che comprendono, che incominciano a capire e ad imparare la realtà.
Parlando di “tempo” è impossibile non citare il prezioso contributo che Gianfranco Zavalloni ha saputo donarci con il suo libro “La Pedagogia della Lumaca” dove ci ricorda che è importante e determinante per la crescita creare spazi, ritmi, lavori comuni in cui nessuno si possa perdere, ma anzi, ci si ritrovi tutti sulla via di un piacevole apprendimento. Questi ritmi spontanei: dello sguardo, della parola, della voce, il bambino li ha insiti nella sua natura. L’invito di Zavalloni è proprio quello di non dimenticarsi di questo ritmo.
A volte la sensazione che si prova è quella che anche la scuola sia oramai stata assorbita dalla visione frenetica e consumistica che la società ha voluto imporre; si parla di educazione efficiente, di scuola azienda e troppe poche volte si sente dire che l’essere umano, per formarsi, per capire e agire consapevolmente nel mondo ha bisogno di trovare “valore” in quello che fa, di comprendere in un ambiente che sappia accoglierlo e riconoscerlo.
I bambini hanno un grande bisogno di pensare a “cose inutili” perché è da quella inutilità, come può essere il gioco o il sogno, nasce il desiderio di conoscere e di apprendere e senza desideri l’uomo non apprende nulla.
Bachelard ci ha insegnato che il fantasticare del bambino dà origine ad associazioni di parole, fantasie sui nomi, ad esercitare l’immaginazione di un mondo poetico; ma per sognare il bambino ha bisogno delle sue “lentezze”, delle sue perdite di tempo, di ripensare con il suo ritmo, a quello che ha visto, alle sensazioni provate.
Sembra invece che la nostra società vada in un’altra direzione, si tende ad organizzare ogni momento della giornata, dopo la mattinata a scuola si programmano i pomeriggi, lunedì e venerdì – inglese, martedì e giovedì – danza o calcio e se si ha la possibilità si tende ad impegnare anche il mercoledì – ad esempio, perché no con una bella lezione di equitazione, poi c’è catechismo da incastrare tra un impegno e l’altro e chissà quale altra attività più o meno coinvolgente.
È ovvio che le giornate programmate sono più comode e gestibili per i genitori che lavorano tutto il giorno, ma il rischio per i piccoli è quello di essere sempre forzati dal “fare” e di non avere più spazio e tempo per pensare, per immaginare, per desiderare e creare. La frenesia, lo stress, la fretta non aiutano l’espressione del talento e la potenzialità creativa né dei piccoli, né dei grandi
Senza poi considerare l’importanza che ha per i bambini il “sostare” nei propri spazi, il perdere tempo con i propri giochi, lo sperimentare ed il provare a volerne costruire di nuovi, spesso semplici e fantastici per sperimentare il proprio spazio creativo.
Nella maggio parte dei casi sono proprio i più piccoli che spesso chiedono (nel fine settimana o nel pomeriggio) di restare a casa, oppure la mattina prima di andare a scuola, hanno bisogno di un tempo più lento per prepararsi con più calma e godersi il piacere del risveglio. E alle volte noi adulti schiacciati dai nostri progetti e dai nostri tempi non possiamo o non riusciamo ad accontentarli.
La cosa ideale sarebbe quella di provare a trovare una giusta mediazione, per esempio, se sappiamo che i nostri figli alla mattina fanno” fatica” e sono lenti, sarebbe meglio puntare la sveglia un po’ prima per permettere loro di prepararsi con più calma assecondando i loro ritmi e i loro bisogni, provando a trovare un compromesso che riesca a non mettergli fretta, in particolare se poi si è costretti a stare fuori casa per tutto il resto della giornata.
Affidandoci ancora alle parole di Zavalloni sarebbe davvero importante riflettere su quanto lui esprime in questo pensiero nel quale ci ammonisce in queste importanti parole:
“ In una società basata sul successo, sul guadagno e sul vincere, abbiamo mai riflettuto sull’importanza e sul valore pedagogico del ” perdere”? Perdere tempo, perdere una partita, perdere un treno, perdere un oggetto, perdere un appuntamento, perdere qualcuno, perdere e basta…perdere! Bisogna perdere tempo per “imparare a fischiare a scuola” per imparare a gustare la vita scuola, per prepararsi a gustare la vita”

Dott.ssa Sara Savoretti – Coordinatrice Area Infanzia de “Il Millepiedi” Cooperativa Sociale

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Crescere: esperienze formative tra rischio educativo e pericolo

“Vivere comporta sempre un certo rischio; e tanto più si è vivi tanto maggiore è il rischio”

Ibsen

Come esprime bene Ibsen, il “rischio” è un fattore naturalmente insito nella vita della persona, al punto che un’esistenza è tanto più ricca quanto più una persona è stata capace di mettersi in gioco nell’arco della vita stessa. Ecco che si evidenzia allora, nel panorama attuale, un paradosso: i bambini, che sono i primi soggetti verso i quali vengono messe in atto delle azioni educative (da parte di famiglia e educatori), sono anche gli stessi verso i quali negli ultimi anni l’esperienza del rischio è stata gradualmente preclusa. Negli ultimi anni, ossia, i bambini sono spariti dalle strade e sono stati progressivamente chiusi dentro le case; la motivazione che ha spinto verso questa condizione è stata la ricerca spasmodica della sicurezza e della protezione da parte dell’adulto.

Il tema trasversale che sta alla base di questa situazione, è la percezione del rischio: spesso l’ansia dell’adulto limita le esperienze all’esterno, perché percepisce la “sicurezza” del bambino come minacciata dallo stare fuori.

Al giorno d’oggi, infatti, per l’adulto pare più difficile che in passato pensare che i bambini possano crescere anche attraversando i rischi connaturati ad ogni fenomeno evolutivo, perché il rischio viene demonizzato in nome di un modello iperprotettivo, falsamente rassicurante e che, proprio per questo, vede il rischio come esterno ad ogni prospettiva di crescita normale, uno stato di pericolo, di per sè e sempre deleterio, da evitare.

Al centro di tale visione sta proprio la parola rischio, che viene impoverita perché piegata ad una sola delle sue definizioni, nonchè privata di quegli aggettivi che sono capaci invece di aprire la prospettiva sull’orizzonte delle possibilità, aggettivi come temerario, incerto, ardito, dubbioso, avventuroso che evocano il provare, il cimentarsi, lo sfidare, il giocare, funzioni così caratteristiche dell’età evolutiva[1].

La cultura dell’apprensione e il concetto di sicurezza, con tutte le sue interpretazioni e contraddizioni, permeano e limitano fortemente non solo la vita familiare ma anche i servizi per l’infanzia, deprivando i bambini di esperienze necessarie e impoverendo le opportunità formative. Non solo il movimento è penalizzato, ma anche la possibilità per i bambini di utilizzare oggetti naturali o di uso comune, in quanto questi oggetti (rami, conchiglie, nastri, tappi, tubi di cartone…) non hanno il marchio di qualità.

È invece nel gioco, nell’assunzione di piccoli rischi, nel superamento di prove auto indotte, secondo i propri tempi e i propri interessi, che si sviluppano davvero la crescita sana, l’autostima, la sicurezza, la consapevolezza delle proprie capacità e dei propri limiti, il piacere della conquista e il senso positivo della vita.

Piuttosto che negare il problema, allora, si propone di mettere in atto accorgimenti e strategie pertinenti rispetto all’esperienza che si vuole svolgere all’esterno, perchè l’educazione al rischio non è incompatibile con la sicurezza. Occorre però che il diritto al rischio quale “valido alleato dei processi educativi e formativi” venga considerato dai diversi soggetti coinvolti e dalle diverse figure professionali che si occupano di sicurezza e di educazione, condividendo responsabilità e conoscenze, trovando mediazioni e normative che tengano insieme sicurezza e opportunità educative di senso[2].

Tutti gli adulti dovrebbero riflettere sul fatto che il modo migliore per sviluppare prevenzione è educare il bambino a conoscere per diretta esperienza l’ambiente in cui vive, nelle sue dimensioni più naturali, sviluppando così gli “anticorpi formativi” che gli consentono di imparare ad affrontare le difficoltà, a correre qualche rischio conoscendo le proprie capacità.

A differenza del pericolo che è un dato “oggettivo” e viene dall’esterno, il rischio che si corre è una sfida legata al desiderio di mettersi alla prova, alla dimensione dell’incertezza e imprevedibilità, all’affermazione del proprio protagonismo. Certamente non si può educare al rischio insegnandolo: occorre incontrarlo, conoscerlo e superarlo.

Per dare sostegno a queste tematiche è nata la Pedagogia del rischio: essa sostiene che i bambini hanno il diritto di crescere in una realtà che non sia virtuale né artefatta; piuttosto si deve educare al rischio attraverso la conoscenza diretta e l’esperienza autentica determinata da esplorazioni, scoperte, sperimentazioni, dal momento che il rischio è implicito nel concetto stesso di vita. La pedagogia del rischio riconosce il valore formativo a esperienze che incontrano il limite, la fatica, la sconfitta e talvolta anche il dolore, elementi costitutivi della nostra umanità.

Si parla di scoperta, indagine e problematizzazione del mondo “entrando nella vita” attraverso eventi e situazioni che sollecitano curiosità, domande e mettono in gioco mente e corpo: emozioni, sensazioni, percezioni, creatività, capacità e limiti fisici.

Tutto ciò favorisce l’acquisizione di un’immagine realistica di sé e delle proprie potenzialità, in relazione non solo al rischio fisico (la possibilità di farsi male) ma anche al rischio cognitivo ed emotivo (la possibilità di sbagliare, di trasgredire, di entrare in conflitto, di affrontare il cambiamento).

É necessario allora coinvolgere le famiglie sui temi della protezione e della sicurezza, sulla differenza tra educazione al rischio e prevenzione dei pericoli, su come atteggiamenti eccessivamente limitanti nei primi anni di vita lascino una impronta “passivizzante” nell’adulto di domani. É necessario anche uscire dalle palestre per entrare nella vita reale, dove poter camminare su terreni scoscesi, salire e scendere le scale, arrampicarsi sugli alberi, o dondolarsi attaccandosi a un grosso ramo basso.

Si può tranquillizzare l’adulto sul fatto che il bambino non è portato di per sé a farsi male o a crearsi consapevolmente delle situazioni pericolose: il rischio che affronta è sempre proporzionato alle sue capacità e possibilità e lo affronta perché è necessario al suo piacere. Al contrario nelle nostre culture, sempre più virtuali e seduttive, si rischia di limitare le esperienze di esplorazione dell’ambiente a favore dell’aspetto simbolico e astratto. Il pericolo sta dunque nel perdere di vista un elemento di vitale importanza nel processo evolutivo che è quello dell’esperienza nella sua globalità: le esperienze tattili e motorie rappresentano infatti il punto di partenza per la maturazione delle aree superiori di linguaggio e pensiero.

La prospettiva del rischio pone pertanto i bambini, e prima ancora gli adulti, in una condizione di straordinaria responsabilità, in quanto autori delle proprie e altrui esperienze di crescita. Responsabilità che frequentemente viene evitata o negata dagli adulti ricorrendo a divieti e prescrizioni che, nell’intenzione di proteggere, negano esperienze[3].

Per concludere, se da un lato possiamo avere la certezza che i bambini cresceranno comunque, anche in contesti standardizzati, con spigoli arrotondati, giochi di plastica e tappeti assorbi urto, dall’altro abbiamo il dovere di ricordare che, se l’opportunità di venire a contatto con ambienti diversi e vari, e con gli elementi e le forme di vita che ne fanno parte, viene ridotta o eliminata, viene altresì ridotta o eliminata la possibilità di acquisire alcune abilità fondamentali: quel protagonismo e quella spinta all’iniziativa, che sono i requisiti necessari alla partecipazione attiva ed alla capacità di trovare soluzioni innovative alle varie questioni che la vita sempre pone e sempre porrà.

 

Dott.ssa Monica Mascarucci

Coordinamento pedagogico Area Infanzia

Il Millepiedi Coop. Sociale a r. l.

[1] Rossi-Doria M., Alcune considerazioni sulla parola rischio a proposito di bambini e di educazione.

[2] A. Garbarini, M.A: Nunnari, I diritti delle bambine e dei bambini, Atti del Convegno Nazionale Nidi Infanzia, Torino 2010.

[3] Rivista Bambini, marzo 2013, Il protagonismo dei bambini. L’educazione al rischio.

 

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