Educare alla rabbia

Thumbnail

La rabbia è tra le espressioni emotive più difficile da gestire e che spesso spaventa di più. Si tende a scacciarla a reprimerla, tenerla lontana. Essa è spesso un miscuglio di tensioni che si sono accumulate in noi fino a diventare intollerabili ed è quindi necessario scaricare.

Le nostre emozioni ci guidano e ci accompagnano nell’affrontare le situazioni della vita quotidiana. Ogni emozione ci porta a mettere in atto dei comportamenti caratteristici. Se per quel che riguarda le emozioni, considerate dalla maggioranza delle persone come “positive”, l’espressione dei comportamenti connessi non crea in linea di massima nessun problema, lo stesso non si può dire per emozioni come la rabbia, in cui non sempre è possibile manifestare liberamente alcuni comportamenti legati ad essa.

D’altra parte, è importante poter manifestare la rabbia, ma è necessario riuscire a farlo nel modo più adeguato, senza reprimerla ne “scaricarla” fuori. Nei rapporti affettivi, infatti, l’espressione della rabbia in maniera incontrollata può provocare delle ferite che fanno a lungo soffrire le persone e possono deteriorare il rapporto.

Le modalità con cui si esprime la collera risentono di numerosi fattori tra cui, in primis, le caratteristiche temperamentali della persona, l’educazione genitoriale rispetto alle modalità accettabili e inaccettabili di esternare la rabbia e le norme socioculturali vigenti.

L’espressione della rabbia è anche uno dei campi di maggior dibattito in ambito educativo.

Si vorrebbe da una parte che i bambini non fossero aggressivi con gli altri, consci di quanto questa modalità possa rendere difficili i rapporti, ma dall’altra sarebbe auspicabile che “non si facessero mettere i piedi in testa”. 

Risposte rabbiose vengono fortemente represse nei bambini dalle persone che si occupano di loro, di conseguenza ogni bambino comincia sin da piccolo a fare i conti con il suo temperamento, quel qualcosa di innato nella struttura del suo carattere, e le modalità di espressione della rabbia considerate accettabili o meno dalle figure di riferimento prima e dalla società poi. Diventerà quindi un adulto con un suo “modello” di modalità “giuste” di manifestare la rabbia, del quale potrà non avere consapevolezza, ma che si troverà ad utilizzare in tutte le situazioni che gli richiedono di fare i conti con questa emozione.

La rabbia, dunque, è tra le espressioni emotive più difficile da gestire e che spesso spaventa di più in noi e negli altri. Si tende a scacciarla a reprimerla, tenerla lontana. Essa è spesso un miscuglio di tensioni che si sono accumulate in noi fino a diventare intollerabili ed è quindi necessario scaricare. La modalità con cui questa rabbia, miscuglio di tante altre emozioni come angoscia, frustrazione, dolore ecc., viene espressa, può spesso essere distruttiva e addirittura ritorcersi contro di noi.

Questa emozione è una di quelle che proviamo più spesso, con variazioni di intensità che vanno dall’ira alla collera, a manifestazioni meno intense, ma più frequenti quali irritazione, fastidio e impazienza.

La rabbia provoca un’attivazione fisiologica intensa che “accende” tutto il corpo e crea una spinta energetica nell’organismo che lo prepara all’azione, ma che cosa la scatena?

Spesso la causa è un ostacolo che impedisce il soddisfacimento di un desiderio, o è l’imposizione di un danno.

Ci si rende conto di quanto questo sia vero quando pensiamo all’”oggetto” verso il quale proviamo rabbia, che in linea di massima è rappresentato dalle altre persone, o da oggetti inanimati. 

Spesso però le cose diventano l’oggetto dello sfogo di una rabbia che può avere un’altra causa, in genere un’altra persona. Sono proprio i nostri simili, che bene e spesso, sono l’origine delle nostre frustrazioni, costrizioni, o ostacolano, volontariamente o meno, il soddisfacimento dei nostri desideri, suscitandoci inevitabilmente una reazione di rabbia.

La rabbia può essere considerata quindi il “calderone” dove ribollono tante altre emozioni: frustrazione, impotenza, preoccupazione, delusione, ecc.., ma non può essere considerata come positiva o negativa. 

È un’emozione e in quanto tale noi la proviamo e nessuno può dire che sia giusto o sbagliato provarla. Discutibile e giudicabile può essere la modalità attraverso la quale esprimiamo questa emozione.

Nei bambini succede la stessa cosa: la loro rabbia, come quella degli adulti spesso nasconde qualcos’altro: dolore, angoscia, paura dell’abbandono, impotenza, sentirsi “invisibili” perché non ascoltati, tristezza, gelosia… 

Ciò di cui in genere hanno bisogno queste rabbie è di essere prese in considerazione, riconosciute, ascoltate, rispettate e capite.

Spesso fare questo non è così semplice. Confrontarsi con la rabbia altrui richiede di aver una buona capacità di gestione della propria. Di fronte alla rabbia del bambino l’adulto deve cercare di riconoscere, ascoltare e rispettare tutte le emozioni che ci stanno dietro, riuscire a contenerle, tollerarle e aiutare i bambini ad imparare a farlo.

Nel caso della collera dei bambini, essa non dovrebbe mai essere sottovalutata, o ignorata, ma presa in considerazione e ascoltata, cercando di capire che cosa c’è alla sua origine: tristezza, disperazione, paura, ecc. e renderne consapevole il bambino.

Ascoltare e cercare di comprendere e rimandare il sentimento espresso dal bambino, senza rispondergli con una valutazione, un’opinione o un giudizio.

Sentirsi capiti da ascoltati e rispettati, senza che l’altro prenda una posizione giudichi, o dia consigli, ma rimandi l’emozione, fa sentire il bambino accettato, e gli permette a sua volta di poter riflettere su ciò che prova.

L’accettazione riguarda il bambino nella sua totalità come persona. Questo non significa che si debbano accettare anche i comportamenti che si ritengono inadeguati o pericolosi, nel caso della rabbia, certe manifestazioni aggressive nei confronti di sé e degli altri. Questi vanno corretti e modificati, senza mettere in discussione l’affetto che si prova per i bambini, inviandogli per esempio messaggi giudicanti come “sei cattivo quando ti arrabbi”, ma piuttosto specificando come la non accettazione sia rivolta al suo comportamento, piuttosto che a lui come persona.

Quando un bambino ha un eccesso di rabbia, del quale non si riesce a capire il motivo, spesso la reazione che viene immediata è quella di rispondere con un atteggiamento altrettanto aggressivo. Questo porta ad un’escalation dell’aggressività che provoca solo un inasprirsi della situazione. 

Quello di cui il bambino ha bisogno è invece un atteggiamento calmo dell’adulto, che ne contiene la rabbia e gli permette di rendersi conto che ciò che prova non è così terribile da distruggere il legame. 

L’accettazione passa quindi dalla possibilità di non rispondere con rabbia alla collera del bambino, ma anche attraverso la verbalizzazione di ciò che sta provando.

Accettare la rabbia del bambino aiutandolo a comprendere ciò che gli sta succedendo gli permette di sentirsi contenuto e non invaso dalla sua collera, che diventa qualcosa di gestibile e affrontabile. Il bambino in questo modo si sente accettato e amato per quello che è non tanto in base a quello che fa.

Per educare un bambino ad accettare, riconoscere e di conseguenza modificare la propria aggressività, è necessario che chi gli stia vicino sia in grado di farlo. Questo è possibile solo se l’adulto non nasconde o nega la propria aggressività, ma ne è consapevole e in grado di esprimerla verbalmente: “sono arrabbiato per questo tuo comportamento”, chiarendo le proprie posizioni. 

Il bambino sentirà che non è necessario reprimere la propria rabbia, ma essa può essere espressa senza esiti distruttivi e senza paura che il legame con gli altri possa spezzarsi. A sua volta imparerà a riconoscere ciò che prova e ad essere congruente.

Dott.ssa Maria Paola Camporesi
Servizio di psicologia Liberamente – Cooperativa Il Millepiedi