Perché parlare di emozioni migliora i rapporti e la comunicazione?

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È fondamentale che le persone che si occupano di educazione aiutino il/la ragazzo/a ad accrescere la propria intelligenza emotiva.

Se consideriamo le difficoltà degli adolescenti di oggi, notiamo che non sono tanto di origine linguistica o cognitiva, ma si manifestano in comportamenti specifici che riguardano la sfera emozionale, la vita di relazione (chiusura sociale, aggressività, depressione, ansia, devianza, difficoltà nell’attenzione e nella riflessione su di sé) e quindi è per questo che è necessario come educatori riferirsi ad essa.

Ed è fondamentale quindi che le persone che si occupano di educazione aiutino il ragazzo ad accrescere la propria Intelligenza emotiva.

Che cosa intendiamo allora per Intelligenza Emotiva?

Capacità di riconoscere i nostri sentimenti e quelli degli altri, di motivare noi stessi, di gestire positivamente le nostre emozioni, tanto interiormente quanto nelle relazioni sociali, di esplorare le proprie emozioni, di sapere darci un nome, di descrivere i propri vissuti, di capire cosa c’è dietro un sentimento.

Sono abilità complementari ma differenti dall’intelligenza.

L’intelligenza emotiva a differenza del Q.I. può essere potenziata in ogni fase della vita, aumenta in proporzione alla consapevolezza dei propri stati d’animo.

Per “alfabetizzazione emotiva” di conseguenza si intendono tutti quegli interventi educativi che aiutano il ragazzo a rafforzare la propria Intelligenza emotiva.

Quindi, come adulti avere la capacità di sapere dare un nome alle emozioni che i ragazzi manifestano e rimandargliele in modo che essi sappiano riconoscerle e diventino gradualmente consapevoli di esse.

Per essere in grado di cogliere e dare un nome alle emozioni del bambino è necessario prima di tutto possedere alcune capacità:

  • essere consapevoli e sapere riconoscere le proprie emozioni;
  • sapere ascoltare;
  • sapere comprendere e capire quindi, essere empatico con l’altro.

Una possibile difficoltà come educatori potrebbe essere quella di gestire le manifestazioni emotive dei ragazzi, in particolare quelle che normalmente vengono definite con connotazioni negative come la rabbia e la paura.

Questo anche perché, nella nostra cultura le emozioni vengono spesso contrapposte alla ragione e sono viste come un rischio, una minaccia da controllare.

In realtà le emozioni sono molto importanti per la sopravvivenza dell’individuo perché non solo ci informano della presenza di un eventuale pericolo, ma ci permettono di definire ed avere informazioni del mondo circostante.

Tuttavia, anche eliminare completamente l’aspetto razionale potrebbe essere dannoso.

Per questo più che parlare di controllo delle emozioni, è più giusto parlare di gestione delle emozioni, per essere così in grado di valutare il proprio stato interno e decidere di volta in volta quali aspetti di quell’emozione sono utili per il comportamento.

Così, per esempio, se compare, anche nel caso di un adolescente, l’emozione della rabbia, non serve a niente reprimerla, ma è più utile esplorarla e comprendere quali aspetti di quella determinata situazione o relazione hanno provocato quella reazione.

Come si può realizzare l’alfabetizzazione emotiva all’interno di un contesto educativo?

Fondamentalmente in due modi:

  1. In primo luogo, utilizzando l’ascolto e l’empatia ogni volta che il ragazzo comunica con noi, cercando di cogliere al di là del semplice contenuto di tale comunicazione l’aspetto emozionale, ovvero l’emozione presente all’interno di essa. Ad esempio, un ragazzo ci comunica una forte disagio ed insicurezza per un esame che deve sostenere. Ascoltarlo cercando di cogliere l’emozione che sta dietro a questa insicurezza, o disagio generici e rimandargliela attraverso una restituzione: “posso immaginare che sei preoccupato, ti senti in ansia, preoccupato”. In questo modo, prima di tutto il ragazzo si sentirà capito ed ascoltato e imparerà, piano piano, a prendere confidenza con i propri sentimenti.
  2. In secondo luogo, usando sé stessi come esempio. In che senso? Cercando anche noi come educatori di comunicare di volta in volta l’emozione che proviamo in seguito ad un comportamento che il ragazzo ha messo in atto.
    Ad esempio, il ragazzo ha raggiunto una meta importante: “sono contento ed entusiasta per il risultato che hai raggiunto!” In questo modo, l’adulto diventa un esempio, perché permette al ragazzo di entrare in contatto con i sentimenti, di imparare a dargli un nome, di capire che i propri comportamenti hanno un effetto sui sentimenti degli altri, di sentire che è legittimo esprimerli e che c’è un modo per farlo.

Una modalità di comunicazione che può essere utile, consiste nel comunicare i propri pensieri, sentimenti, opinioni, bisogni, in modo da fare sapere agli altri cosa proviamo e in che situazione ci troviamo.

Si chiama “utilizzare i messaggi in prima persona”: esprimono unicamente la nostra realtà interiore, non contengono né accuse né valutazioni, giudizi, o interpretazioni verso l’altro. Si tratta di descrivere il comportamento dell’altro, quello che ha detto, o fatto, senza interpretare. Ad esempio, invece di: “sono venti minuti che aspetto! Sei il solito ritardatario!”, “aspettare 20 minuti mi ha stancato, la prossima volta mi avverti se ritardi?”

Il messaggio in prima persona consiste nel comunicare i sentimenti che si provano, è molto utile nel caso in cui si abbia a che fare con i bambini, permette loro di capire cosa inducono nell’altro con i loro comportamenti e dà loro la possibilità di imparare a modificare le loro azioni conoscendone le conseguenze sugli altri.

Nel caso in cui si comunicano gli effetti positivi che un comportamento dell’altro ha su di noi, l’altra persona si sentirà apprezzata e riconosciuta, non avrà un giudizio, che anche se positivo, implica la valutazione di un comportamento. Non: “Sei stato molto bravo a fare questo esercizio”, ma: “Mi ha fatto molto piacere che sei riuscito a fare il compito senza errori”.

Questi messaggi permettono alle relazioni di divenire più intime, sincere e si evitano malintesi e problemi, permettono una conoscenza approfondita, sia in ambito lavorativo, che personale. Ad esempio: “Per me è molto importante che si rispettino gli orari”; “Oggi sono un po’ stanca e faccio fatica a darti l’aiuto che mi hai chiesto”; “Mi piace quando troviamo il tempo per parlare un po’ insieme di noi”.

I messaggi in prima persona mettono l’altro a conoscenza dei nostri bisogni futuri, così avrà modo di collaborare, o cambiare, in modo da non ostacolare il soddisfacimento del nostro bisogno… si previene il conflitto, mettendo al corrente in anticipo di ciò che desideriamo.

“Oggi avrei bisogno di finire la riunione in orario perché ho un impegno da rispettare”.

La cosa fondamentale è essere sinceri. Nel momento in cui si affrontano situazioni di conflitto e siamo feriti, o ostacolati dal comportamento dell’altro, con questi messaggi comunichiamo il nostro stato, il nostro bisogno e la speranza che l’altro cambi il suo comportamento verso di noi.

Per esempio, gli altri possono agire in modo da suscitare in noi emozioni negative, ci infastidiscono, ci fanno sentire impotenti, con risentimento, disagio, ma anche in questo caso occorre che affrontiamo la situazione esponendo con chiarezza le nostre esigenze.

Abbiamo più probabilità di modificare i comportamenti dell’altro se attribuiamo a noi stessi la responsabilità, l’esperienza, senza dare la colpa all’altro di ciò che proviamo, è un’emozione che sentiamo noi, anche se causata dall’altro.

Con un messaggio in prima persona non colpevolizziamo l’altro e non giudichiamo, ma gli facciamo conoscere le nostre esigenze e bisogni.

In questo caso è molto importante essere congruenti, cioè riconoscere come nostre le difficoltà e i sentimenti provati e comunicarli in modo chiaro e trasparente:

  1. descriviamo il comportamento che non accettiamo;
  2. esponiamo gli effetti che questo comportamento ha sul nostro lavoro;
  3. diciamo i sentimenti che proviamo;
  4. in ogni caso, è importante essere consapevoli dei nostri sentimenti e decidere se è opportuno e utile manifestarli in un determinato contesto.

Dott.ssa Caterina Rivola
Servizio di psicologia Liberamente – Cooperativa Il Millepiedi
Bibliografia: “Educare le life skills” di Maura Anfossi e Claudia Dall’Aglio